Questo che abbiamo il piacere di presentarvi oggi è un album di famiglia davvero speciale.
L’idea di Gianluca Portas (Carbonia, 1996) era quella di indagare il suo sentimento di nostalgia, navigando verso frangenti e vicissitudini familiari a lui sconosciute, esplorando attraverso racconti e vecchie fotografie gli spazi genealogici antecedenti alla sua nascita, in modo da riappropriarsene, sentirli suoi, dare loro significato. Quindi viverli, per non lasciare che venissero dimenticati.
Un viaggio emotivo profondo, e anche una sfida dal punto di vista tecnico.
Gianluca infatti ha scelto di realizzare questo progetto come coronamento del suo percorso accademico all’Accademia Sironi di Sassari, cimentandosi nell’arte della foto-incisione. Non semplice, e non banale.

A condurvi alla scoperta di “IO” sarà l’intervista realizzata dalla Consulta Studenti dell’Accademia di Belle Arti di Sassari, all’interno del progetto I Nostri Artisti – Intromissione nel tessuto artistico dell’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi“.
Quest’ambizioso ciclo di interviste nasce nel 2021 dall’idea di Gavino Puggioni (uno dei componenti della Consulta) con la missione di creare consapevolezza e far conoscere gli artisti emergenti dell’Accademia, sia fuori che all’interno di essa.
Un progetto interessante e necessario, per creare rete e aiutare gli artisti a spiegare la propria visione oltre che diffondere la loro arte; progetto che noi sottoscriviamo e condividiamo con entusiasmo.
Lo trovate sui canali social della Consulta, ora anche in formato video.
L’intervista a Gianluca Portas è stata realizzata da Dario Sequenza, e coordinata dagli altri membri del direttivo di Consulta, Andrea Mudadu e Guenda Bulleddu.
Dario: Parlaci del tuo percorso formativo e di eventuali incidenti.
Gianluca: Ho studiato al Liceo “Angioy” di Carbonia, per seguire le orme di mio padre da geometra. Al terzo anno ho
capito che quel percorso non faceva per me. Volevo iscrivermi al corso di grafica ma non si era formata la classe del quarto anno. Ho spiegato ai miei genitori che mi sarei volontariamente fatto bocciare per poter frequentare. É stata una delle decisioni migliori della mia vita. Lì iniziai a capire come si sarebbe sviluppato il mio percorso. Durante quegli anni ho conosciuto un professore di Cagliari, Giovanni Tamponi, che assieme ad altri mi ha fatto capire che l’unico modo per poter fare ciò che volevo era non preoccuparmi del giudizio esterno e proseguire per la mia strada.
D: In ABA Sassari hai rafforzato le tue idee oppure hai cambiato la tua posizione in merito all’arte?
G: All’Accademia di Sassari son stato distrutto e ricostruito, da me stesso e da chi mi circondava. Inizialmente
avevo delle idee vaghe sull’arte, su ciò che era ”bello” o ”brutto”. Il rapporto con diversi colleghi e professori ha completamente rovesciato tutto questo. Prima ero più concentrato su fattori estetici superficiali, su quello che consideravo canonicamente bello. Senza interrogarmi su tutto quello che può esserci dietro. Ora il contenuto tematico è una delle cose che più mi interessano. A volte ho la sensazione che alcuni artisti utilizzino il concettuale per mascherare mancanze o per gonfiare operazioni furbe, dimenticando l’importanza e la forza di quello che viene da dentro. L’arte è bella quando fa emergere chi la fa. Tutto ciò che viene fatto in conformità al mercato dell’arte è falso.


D: Parlaci del tuo processo creativo.
G: Principalmente mi occupo di foto-incisione. É una tecnica in cui si trasferisce una foto su una lastra in zinco,
attraverso uno spray fotosensibile che viene spruzzato sulla lastra. Dopodiché si prende una foto, stampata su acetato e si posiziona sulla lastra trattata. Si lascia in esposizione per due ore, in modo che venga impressa sullo spray e si risciacqua. Si passa poi allo sviluppo, con una soluzione di soda caustica e acqua. In questo modo si ottiene una foto in negativo sulla lastra. Si da poi una passata di acquatinta, tre giri di morsura da 10-15 minuti e la lastra è pronta. Ho scelto questo processo nel 2019, dato che essendo fotografo cercavo un modo di trasportare la fotografia nel mondo dell’incisione. Lo sviluppo di questa tecnica non mi è stata insegnata in Accademia. Sul Web, durante le mie ricerche, mi sono imbattuto nella locandina di un workshop tenutosi a Venezia nel 2018, realizzata in un modo che mi incuriosiva. Ho contattato l’autore della locandina che mi ha spiegato tutto nel dettaglio. Dalle informazioni che mi ha passato sono riuscito a creare il mio metodo. Ci sono delle differenze rispetto a lui, dato che aveva a disposizione spazi e mezzi migliori dei miei, ma sono riuscito ad adattarmi. Tutto questo processo è durato sei mesi e ora è stato ulteriormente perfezionato. Ho voluto proseguire testardamente in questa ricerca perché tutti volevano spingermi a fare altro. Io volevo fare questo e non mi importava del resto. Continuerò a percorrere la mia strada
D: Per l’opera “Senza Titolo” hai avuto un’ispirazione precisa?
G: Le varie opere denominate ”Senza Titolo” fanno parte di una serie più grande, che sto realizzando per la mia tesi sulla nostalgia nell’arte contemporanea. É un album fotografico familiare che mi serve per esprimere quanto siano importanti i ricordi nell’arte ma anche nella vita di tutti. Per gli artisti i ricordi sono come una benzina per le macchine. Si torna spesso al passato. É un meccanismo profondamente umano cercare nel passato per trovare risposte sul futuro. Dalla tecnologia all’arte sino alla moda: Il mio rapporto con la nostalgia è così da sempre. Riguardo sempre gli album fotografici della mia famiglia, soprattutto ultimamente, da quando mio padre si è
ammalato di cancro. Ho avuto bisogno di realizzare queste opere per riscatto personale e per i miei genitori. Dietro queste foto ci sono le loro vite, le loro storie. Ad esempio ho scoperto che mio padre con gli amici si comportava come me. Sono cose belle, cose che hanno bisogno di essere raccontate.
D: Hai degli artisti che ti influenzano e a cui ti ispiri?
G: Tra i viventi Nan Goldin, Sally Mann o chiunque abbia lavorato con questa idea di ricostruzione dei ricordi attraverso la fotografia. Chiunque utilizzasse le foto come capsule temporali ha contribuito a farmi capire il valore che ci può essere dietro. L’ispirazione è puramente tematica, relativa a ciò che viene trasmesso. Le tecniche già
utilizzate non mi interessano particolarmente.
D: Le dinamiche relazionali sono importanti nel tuo lavoro?
G: Molto. Ciò che faccio è condividere relazioni, situazioni e realtà. Le foto che scatto sono piccole storie che mi vengono mostrate. Per chi le vede è un’opportunità di vedere sia ciò che riguarda direttamente i soggetti ripresi ma anche il mio sguardo. Anche se faccio una foto a due persone in strada che non ho mai visto prima di quel momento,
scelgo di raccontare quel piccolo frammento. Do la precedenza alla realtà che ho davanti rispetto a me stesso, io raccolgo e restituisco ciò che mi viene dato.
D: Trovi che l’arte debba essere politica?
G: Non necessariamente. Non vorrei che l’arte fosse politica sempre. Mi sembra di utilizzare l’arte come mezzo per esprimere qualcosa di ”utile” e non personale. Cambiare le menti attraverso l’arte non è quello che mi interessa. Vedo ognuno come un singolo dotato del proprio pensiero, che interpreta ciò che vede nel modo più adatto a se stesso. Cercare un utopia in cui tutti la pensiamo nello stesso modo non fa per me.
D: Come ti rapporti alla situazione dell’arte in Sardegna?
G: Il modo di fare arte in Sardegna non mi piace, è un circolo esclusivo. Inoltre manca proprio la cultura. Gli spazi espositivi di Sassari sono perlopiù bar e locali vari. I musei sono chiusi e i palazzi storici sono quasi tutti gestiti da privati, usati per uffici e poco più. É qualcosa di assurdo. Il poco che c’è è roba di nicchia, senza una vera rilevanza
culturale. Penso sia un problema della nostra regione. In altre zone d’Italia, come le grandi città, la situazione è un po’ diversa. Ci sono i mezzi e gli spazi. Qui se non si parla di qualcosa di tradizionale, in senso superficiale, non si riesce a fare nulla. É terribile limitare tutto quello che facciamo a una visione storica, spesso macchiata di kitsch. Non c’è spazio per altro, per qualcosa di nuovo e interessante.


D: Ultima domanda: credi che l’arte abbia una valenza etica? Come Mondrian credi che possa salvare il mondo?
G: Credo abbia una valenza etica, ma che non possa salvare il mondo. Non si può cambiare tutto con un opera d’arte. Noi tutti abbiamo qualcosa di diverso che ci farà interpretare ciò che vediamo in modo diverso. Ad esempio le teorie di Nietzsche, che possono essere male interpretate per giustificare atrocità, come si è fatto a volte nella storia. Alla fine l’arte trasmette cose che possono essere anche etiche, ma non è detto che ciò che viene trasmesso possa salvarci.

Attraverso le foto e le storie raccolte attraverso la famiglia, Gianluca Portas conosce e conquista il suo pre-vita, acquistando così un senso di appartenenza e di vicinanza alle vicissitudini genealogiche… fino a quando il corso stesso degli eventi non da a questo progetto una nuova dolorosa valenza.
La morte del padre rende “IO” un cimelio quasi catartico, assumendo una potenza e un significato tutti nuovi, non solo di riscoperta del passato ma anche di ricordo presente dell’amore paterno vissuto.
In quelle poche ma lancinanti righe, c’è racchiuso tutto il dolore e l’importanza di quei rapporti sottesi, ma ben tratteggiati nell’opera, con le sue foto in bianco e nero che in modo semplice raccontano storie che non possiamo non immaginare anche noi.
Grazie a Gianluca Portas per aver voluto condividere questo lavoro con noi, e grazie alla Consulta per questo prezioso contributo.
INTERVISTA tratta da I NOSTRI ARTISTI – VOL XI: GIANLUCA PORTAS © 2022
Progetto ideato e realizzato dalla Consulta degli Studenti dell’Accademia “Mario Sironi” di Sassari.
Le foto delle opere appartengono a Gianluca Portas
Coordinamento, introduzione e commento: Veronica – Editor-in-Chief MAQUINI MAGAZINE